Peppino Di Vittorio, in mano al socialista, ci si ritirava dalle campagne che si andava al lavoro arbitrario, si andava dal proprietario per essere pagati: “No, non ti vogliamo pagare”. Allora andavamo da Peppino Di Vittorio: “Peppì, che cosa dobbiamo fare? Noi siamo stati da Tizio al lavoro e non ci vuole pagare. Che dobbiamo fare?”, “Calmi, calmi. Mò vado io”. Peppino Di Vittorio andava col portafoglio vuoto e veniva col portafoglio pieno, senza menar mazzate, senza far niente, chè era la calma… (…) Peppino Di Vittorio, che lavorava sempre, andava sempre al lavoro, era lavoratore, sentiva che si diceva: “Stasera – si stava in campagna, si stava fuori della masseria – giovedì sera si fa un comizio a Cerignola”, “E chi è che parla?”, “Parla – per esempio – Valentino”, “A che ora?”, “Verso le sei”. Se non passava l’orario, a vedere la strada che doveva fare, quando si poteva avviare e quando no… “Che ora è?”, “Sono le tre”, “Bè, ce la faccio a trovarmi al comizio stasera”. All’appiedi! Sei sette chilometri di strada, otto chilometri di strada, si pigliava la giacchetta: “Cura’, statte bbune”, “E ch’è?! Sempre ai comizi! Me’, vieni qua”, “No, devo andare a Cerignola a sentire il comizio”. Peppino Di Vittorio veniva a Cerignola a sentire il comizio la sera. Tutto quello che diceva l’oratore al comizio, la mattina che veniva in campagna ci diceva tutto. Peppino Di Vittorio (…) col giornale in tasca ci leggeva il giornale e ci spiegava tutto. Si andava a mangiare un quarto d’ora, la zappa di fianco e il giornale in mano e poi lavoratori dacchè è nato e lavoratore è stato sempre per tutta la vita sua. E noi per Peppino Di Vittorio ci tagliavamo anche la testa.
Antonio Brudaglia (n. 1904), bracciante.