di Fernando Santi
Vorrei dire che salutando i 60 anni di Di Vittorio noi celebriamo non un evento della vita di uno dei nostri compagni migliori, ma la vigorosa maturità raggiunta dal movimento operaio italiano del quale Di Vittorio così singolarmente impersona le vicende, le lotte, i successi. Mi riesce infatti estremamente difficile pensare a una C.G.l.L. senza Di Vittorio, cosi naturale è questo incontro tra l’uomo e il lavoro italiano organizzato.
Di Vittorio e il movimento sindacale sono cresciuti insieme, possiamo dire. Pensate all’infanzia del movimento sindacale, piena di tormentata ricerca della strada da seguire, tra una punta estrema tutta protesa nell’azione diretta esasperata e una più vasta corrente caratterizzata da oneste possibilità riformiste per taluni dei suoi uomini e da intima sfiducia nella classe operaia per taluni altri. Di Vittorio nasce al movimento giovanissimo, e in quel suo primo militare nel sindacalismo rivoluzionario vi è tutta la sdegnata rivolta del bracciante povero e affamato contro il mondo dell’ingiustizia e contro coloro che predicano la rassegnazione all’ingiustizia. Ora il movimento sindacale odierno la C.G.l.L. insomma rappresenta il superamento di quelle contrastanti originarie posizioni e il loro comporsi in una vigorosa sintesi unitaria che del passato ripudia gli errori e condanna le deviazioni, accogliendone e rinnovandone tuttavia quanto di meglio ha ragione di restare valido e vivo. E Di Vittorio è divenuto Di Vittorio.
Ma come lo è divenuto, come è maturato, come è giunto a possedere e a manifestare quelle doti di forza, di equilibrio, di preparazione che ne fanno il naturale dirigente del movimento sindacale e una delle più forti personalità della nostra vita nazionale? Come l’incontro di cui vi dicevo appare cosi naturale che altri non ne rende pensabili? Il segreto è semplicissimo e umano. Di Vittorio è divenuto Di Vittorio perché è restato Di Vittorio. Perché è rimasto, nel profondo, quello che era. Uno di quei braccianti italiani che io considero la espressione più tipica e più nobile della nostra gente: buoni, generosi, naturalmente intelligenti, onesti, lavoratori assetati di giustizia per se e per gli altri. Perché solo coloro che aspirano profondamente alla giustizia sono in grado di rendere giustizia.
Ed è perché è rimasto dentro di se quello che era che Di Vittorio ci reca l’esempio di una vita di sacrifici e di lotte che costituisce una ininterrotta testimonianza di fedeltà alla causa della povera gente, alla causa della classe lavoratrice. Ed è perché è rimasto quello che era che egli ha potuto così tanto salire. Quel suo aggredire l’alfabeto dapprima, quel suo impossessarsi dei termini fondamentali umani della cultura, quel suo divenire oratore così efficace e popolare, non sono altro che i mezzi di cui ha dovuto provvedersi per portar fuori, al servizio dei lavoratori, quel che egli aveva ed ha dentro di se: quel senso profondo di umanità che lo rende compagno di tutti coloro che vogliono una vita migliore.
Perché uomo umano egli conosce uomini e folle e sa comunicare con loro. Per questo, e per la esperienza acquisita nella sua vita sacrificata, nelle prigioni e nell’esilio, egli è dirigente equilibrato e avveduto, pieno di probità, di coraggio, di comprensione, cui ripugnano le malizie deteriori e il settarismo e che ama la verità anche se ingrata. Per questo è un credente nella unità nazionale ed internazionale dei lavoratori, per la quale ha combattuto e combatte, e ha una cosi alta stima e un così profondo rispetto dei lavoratori. Per questa sua umanità egli è uno dei migliori italiani di questa Italia che egli ama così profondamente come la possono soltanto amare coloro che ne hanno fecondato la terra con il sudore della fatica. Certo molti ammirano questo uomo che da bracciante analfabeta è divenuto Presidente della Federazione Sindacale Mondiale e di cui tutti mi domandano con affettuosa amicizia a Mosca come a Londra, a Budapest come a New York.
Ma io non gli voglio bene per quello che è divenuto. Io gli voglio bene soprattutto perché è rimasto quello che era.
“LAVORO” n. 32, 7 agosto 1952
[Da http://biblioteche.comune.parma.it/archivio/santi/index.htm ]